Nel mio lavoro di interprete, ogni parola che traduco porta con sé il peso di una responsabilità immensa. Che si tratti di un convegno internazionale o di un dialogo uno a no, la dedizione che applico rimane costante; tuttavia, è nell’interpretariato legale che questa responsabilità si manifesta nella sua forma più pura e impegnativa. Ancora oggi rimane vivido nella mia memoria il ricordo della mia prima esperienza di traduzione consecutiva durante un contraddittorio. Sentivo il peso della tensione, affrontando domande insidiose e pressanti e solo con il passare del tempo ho affinato la mia capacità di gestire tali situazioni, arricchendo le mie competenze grazie all’esperienza acquisita.
Tradurre per un contesto legale non significa semplicemente passare da una lingua all’altra, ma richiede un’accurata comprensione dei sistemi giuridici coinvolti, una precisione assoluta e una profonda sensibilità culturale.
L’interpretariato legale si colloca tra linguistica e legge, richiedendo non solo una padronanza impeccabile di più lingue ma anche una comprensione profonda dei contesti legali in cui queste lingue si inseriscono. Dobbiamo interpretare e tradurre con una sorta di precisione “chirurgica” attraverso terminologie, tecniche e concetti giuridici complessi, garantendo al contempo che il diritto di ogni persona non sia compromesso da barriere linguistiche.
La sfida va oltre la semplice traduzione: si tratta di assicurare che la voce di ogni parte in causa venga ascoltata e compresa, che si tratti di testimonianze in tribunale, di interrogatori o di consulenze legali.
Da anni ormai mi occupo in modo costante di attività di interpretariato e traduzione in ambito legale, ma non dimentico mai che la precisione è la chiave.
Un piccolo errore di interpretazione può avere conseguenze significative e per questo per ogni caso, attivo una sorta di “effetto moltiplicatore” al mio processo di concentrazione, con l’obiettivo di assicurare che ogni parola trasmessa sia accurata e fedele all’intento originale.