La mia voce, quando offro il servizio di interpretariato, da forma alle parole di chi parla in un’altra lingua e diventa punto di connessione. Questo era l’incipit di un articolo della mia ultima newsletter.
Ad aprile 2020 Paul Davison e Rohan Seth lanciavano un app dal nome Clubhouse. In un mese, anche se con pochi utenti attivi, aveva già ottenuto un round di investimenti di 12 milioni di dollari e a metà gennaio un fondo di venture capital ha investito altri 100 milioni di dollari a seguito di una sua valutazione post-money da un valore di 1 miliardo di dollari.
Ma perché oggi Clubhouse è diventato il principale tema di discussione?
Clubhouse è un social al momento selettivo, perché si può accedere solo su invito ed è solo per utenti IOS. Non più immagini, né video. Solo voce. Gli utenti entrano nelle stanze dove si tengono le conversazioni e ascoltano (l’algorirmo individua le stanze più pertinenti in funzione delle preferenze). Ciascun utente può “chiedere la parola” alzando la mano ed esprimere la propria opinione, oppure creare una propria stanza definendo un topic. I temi sono eterogenei: dal cinema al marketing, dalla musica alla poltica.
Clubhouse è una app che non solo diversifica l’attuale scenario dei social media, ma ne definisce un nuovo paradigma. Clubhouse non consente registrazioni, condivisioni e non sono richiesti “like”. E’ un social che si basa sui contenuti e sul racconto nella sua versione ancestrale: l’oralità.
Per le imprese e i professionisti potrà essere un campo di applicazione di estremo interesse e per me, che lavoro quotidianamente con il “giusto senso” delle parole e con la mia voce, sarà inevitabilmente uno spazio virtuale da vivere. Fatevi invitare e seguitemi su @itainterpreter!