La corsa alla Casa Bianca si sta profilando come una sfida storica tra due figure molto diverse: l’attuale vicepresidente Kamala Harris e l’ex presidente Donald Trump. Il 5 novembre gli americani sceglieranno quale visione guiderà il paese nei prossimi anni. Entrambi i candidati rappresentano approcci distintivi alla politica e alla comunicazione, e le loro differenze, sia sul piano personale che comunicativo, stanno generando un acceso dibattito su quale direzione prenderà la leadership del paese. Ma quale “lingua” parlerà il prossimo presidente degli Stati Uniti? In altre parole, quale visione di governo e di società emergerà come vincente?
Kamala Harris, la prima donna e prima persona di colore a ricoprire la carica di vicepresidente, rappresenta per molti l’immagine di una politica inclusiva e innovativa. La sua comunicazione si distingue per uno stile empatico e collaborativo, che si riflette anche nei suoi discorsi incentrati sui temi della giustizia sociale, dell’uguaglianza di genere e del progresso ambientale. Harris si rivolge a un pubblico ampio e diversificato, ed è spesso sostenuta da celebrità come Julia Roberts e Robert De Niro (con i quali ho avuto il piacere di collaborare come interprete!), che hanno espresso sostegno per la vicepresidente, elogiando il suo impegno verso una società più giusta e inclusiva.
Dall’altra parte, Donald Trump, noto per il suo stile diretto e per la capacità di mobilitare un pubblico fedele, propone un ritorno a una politica orientata al nazionalismo e alla “legge e ordine”. La sua comunicazione è incisiva e spesso polarizzante, mirata a mantenere il legame con la sua base elettorale. Personaggi pubblici come il rapper Kanye West hanno espresso supporto per Trump, elogiando il suo coraggio e la volontà di rompere con il “politicamente corretto” per favorire un linguaggio schietto e senza compromessi. La sua campagna si propone di parlare la “lingua dell’autorità e dell’identità nazionale”, concentrandosi sui valori di sicurezza, forza economica e autonomia.
Le differenze di genere tra i due candidati sono evidenti non solo nelle loro esperienze di vita e di leadership, ma anche nelle percezioni pubbliche. Kamala Harris, come donna e figura di minoranza, rappresenta un cambiamento simbolico che sottolinea l’inclusività. Donald Trump, invece, si presenta come un leader tradizionale, privilegiando un’immagine di forza e sicurezza che risuona in modo particolare con una parte della popolazione americana alla ricerca di stabilità.
Entrambi i candidati portano con sé visioni opposte, e il risultato delle elezioni del 5 novembre determinerà quale “lingua” guiderà gli Stati Uniti nei prossimi anni: sarà quella della costruzione di ponti tra le diversità o quella della riaffermazione di un’identità forte e unitaria?nguaggio verbale, ma anche le sfumature emotive.
Nel corso degli anni, infatti, ho appreso che facilitare il dialogo tra parti è la chiave necessaria per permettere a ognuno di sentirsi parte attiva del processo decisionale.
Nel corso di questi incontri, mi è stato spesso detto che il mio ruolo va oltre quello di semplice interprete. In molti mi hanno definito una sorta di “architetto delle relazioni umane“, proprio perché non si tratta solo di trasmettere informazioni, ma di creare fiducia e connessione tra i partecipanti. In fondo, il successo di un CAE dipende dalla capacità di costruire una collaborazione sincera e proficua, dove ogni voce è ascoltata e ogni opinione è rispettata.
Anche questo mese le mie tappe europee saranno un’occasione per contribuire alla costruzione di un dialogo efficace e inclusivo, che possa davvero incidere positivamente nel contesto aziendale europeo.